Vivian Maier inedita – Gli scatti della fotografa americana nelle Sale Chiablese
“Vivian Maier. Inedita” approda in Italia, nelle Sale Chiablese dei Musei Reali (piazza san Giovanni 2; www.vivianmaier.it) fino al 26 giugno. L’esposizione è riproposta a Torino dopo la tappa francese ospitata al Musée du Luxembourg e presenta oltre 250 immagini, molte delle quali inedite o rare, come quelle a colori, oltre a video Super 8 e oggetti personali della fotografa americana, come le sue macchine fotografiche Rolleiflex e Leica, e uno dei suoi cappelli. Una sezione, inoltre, è dedicata agli scatti, mai visti prima, realizzati durante il viaggio in Italia, in particolare a Torino e Genova, nell’estate del 1959.
Inaugurata a febbraio, la mostra dedicata ad una delle massime esponenti della cosiddetta street photography si prefigge, fin dal titolo, di raccontare aspetti sconosciuti o poco noti della misteriosa vicenda umana e artistica di Vivian Maier (1926-2009), approfondendo nuovi capitoli o proponendo lavori finora inediti.
La mostra, curata da Anne Morin, è co-organizzata da diChroma e dalla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais, prodotta dalla Società Ares srl con i Musei Reali e il patrocinio del Comune di Torino, e sostenuta da Women In Motion, un progetto ideato da Kering per valorizzare il talento delle donne in campo artistico e culturale.
“La mostra – dichiara Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali di Torino – propone una parte dell’opera ancora sconosciuta di Vivian Maier, universalmente apprezzata dopo il ritrovamento dei suoi archivi nel 2007, e indaga le origini della sua poetica, legata soprattutto alla sua tipica e ormai iconica osservazione street, un tema chiave oggi frequentato e condiviso anche tramite i social media da fotografi di diversa cultura ed estrazione. La strada come attualità e contemporaneità, e, accanto, l’itinerario privato di una donna alla ricerca della sua identità”.
“Vivian Maier – afferma Anne Morin – è una fotografa amatoriale che cercava nella fotografia uno spazio di libertà; benché il suo lavoro sia passato inosservato per tutto il corso della sua vita, si ritrova nella storia della fotografia a fianco dei più grandi maestri quali Robert Doisneau, Robert Frank o Helen Levitt”.
Il percorso espositivo tocca i temi più caratteristici della sua cifra stilistica e si apre con la serie dei suoi autoritratti .
Una sezione è dedicata agli scatti catturati tra le strade di New York e Chicago. Vivian Maier predilige i quartieri proletari delle città in cui ha vissuto. Instancabile, cammina per tutto il tessuto urbano popolato da persone anonime che davanti al suo obiettivo diventano protagoniste, anche per una sola frazione di secondo, e recitano inconsciamente un ruolo.
Oltre ai ritratti, si concentra sui gesti, redigendo un inventario degli atteggiamenti e delle posture delle persone fotografate che tradiscono un pensiero, una intenzione, ma che rivela la loro autentica identità. Le mani sono spesso le protagoniste di queste immagini perché raccontano, senza saperlo, la vita di coloro a cui appartengono.
Agli inizi degli anni Sessanta si nota un cambiamento nel suo modo di fotografare; inizia a giocare con il movimento, creando sequenze cinetiche, come se cercasse di trasportare le specificità del linguaggio cinematografico in quello della fotografia, creando delle vere e proprie sequenze di film. Come naturale conseguenza, inizia a girare con la sua cinepresa Super 8, documentando tutto quello che passava davanti ai suoi occhi, in modo frontale, senza artifici né montaggi.
Non poteva mancare una sezione dedicata al tema dell’infanzia che ha accompagnato Vivian Maier per tutto il corso della vita. A causa della sua vicinanza ai bambini per così tanti anni, era in grado di vedere il mondo con una capacità unica. Come governante e bambinaia per quasi quarant’anni, Maier ha preso parte alla vita dei bambini a lei affidati, documentando i volti, le emozioni, le espressioni, le smorfie, gli sguardi, così come i giochi, la fantasia e tutto il resto che abita la vita di un bambino.
Nata a New York da madre francese e padre austriaco, Vivian Maier (1926-2009) trascorre la maggior parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare le prime fotografie utilizzando una modesta Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Una professione che manterrà per tutta la vita e che, a causa dell’instabilità economica e abitativa, condizionerà alcune scelte importanti della sua produzione fotografica. Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la macchina fotografica al collo e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex accumulando una quantità di rullini così numerosa da non riuscire a svilupparli tutti.
Tra la fine degli anni novanta e i primi anni del nuovo millennio, cercando di sopravvivere, senza fissa dimora e in gravi difficoltà economiche, Vivian vede i suoi negativi andare all’asta a causa di un mancato pagamento alla compagnia dove li aveva immagazzinati. Parte del materiale viene acquistato nel 2007 da John Maloof, un agente immobiliare, che, affascinato da questa misteriosa fotografa, inizia a cercare i suoi lavori dando vita a un archivio di oltre 120.000 negativi. Un vero e proprio tesoro che ha permesso al grande pubblico di scoprire in seguito la sua affascinante vicenda.