Una pietra per Giovanni Sibona – A Vinovo, in via Altina, si inciampa nella memoria
E’ proprio il caso di dire che si può inciampare nella storia e nella memoria: a Vinovo davanti al civico n° 20 di via Altina, incappando in una formella quadrata in ottone lucido di 10 cm.
La memoria di Giovanni Sibona è da qualche tempo celebrata per sempre grazie alla Pietra d’Inciampo a lui dedicata incastonata nel selciato dinnanzi all’ultima abitazione del vinovese deportato.
Sono oltre 79 mila in 26 paesi le Pietre d’Inciampo nate dall’idea del tedesco Gunter Demning; si tratta del monumento “dal basso” più diffuso in Europa che ricordano ed onorano la memoria di ogni singolo deportato morto nei campi di sterminio nazisti.
La targa riporta il nome della vittima le date di nascita, di arresto, il luogo della deportazione ed infine data (quando disponibile) e luogo dell’assassinio riscostruendo così le storie personali di chi fu privato della libertà ed eliminato per via dell’ideologia nazifascista trascrivendo nel tessuto urbano una memoria tangibile ridando così voce a chi è stata brutalmente soppressa.
Giovanni Sibona era nato a Vinovo il 21 settembre 1925 ed abitava nella casa di famiglia proprio accanto alla cappella di San Martino, in via Altina 20.
Giovanni aveva due fratelli: Domenico sottocapo cannoniere della Marina Militare affondato con il cacciatorpediniere Maloncello il 24 marzo 1943 a Capo Bon, nei pressi delle coste tunisine trovando la morte a soli 24 anni; Carlo, del 1921, carrista, prigioniero di guerra nell’ex Jugoslavia per oltre tre anni, fino alla fine del 1946, unico sopravvissuto dei fratelli Sibona: il soldato Ryan salvato come titolava La Stampa nell’ottobre del 2007.
Giovanni venne arrestato a Torino poco prima del Natale 1943 in un bar di via Saluzzo, accusato (probabilmente da qualche delatore) per il tentativo di arruolamento nelle formazioni partigiane di montagna. Con lui vi era anche un altro vinovese, Carrè Alessio fortunatamente sopravvissuto e rientrato a Vinovo nell’estate del 1945.
Giovanni e Alessio vennero deportati insieme ad altre 50 persone con il 1° trasporto da Torino con destinazione campo di concentramento di Mauthausen il 12 gennaio 1944. Privato della propria identità, Giovanni divenne una serie di numeri tatuati sul braccio: 42304 e classificato nella categoria Pol (deportati politici), mentre Alessio Carrè venne spersonalizzato con il numero 42279.
Sibona subì diversi trasferimenti: inizialmente nel campo satellite di Schlier Redl-Zipf, e poi nel sottocampo di Solvay-Ebensee fino allo spostamento avvenuto su di un camion azzurro, con la falsa promessa di andare a stare meglio da parte di medici ed infermieri polacchi che, in tutti i modi, si adoperavano per non includere nelle liste i loro connazionali sostituendoli con gli italiani.
Giovanni, insieme a tanti altri, salì su quel camion dalle tendine azzurre e si ritrovò in un grande castello che si affacciava sul Danubio, ad Hartheim nei pressi di Linz in Austria. Questo luogo non distava molto da Mauthausen, era isolato e vicino alla linea ferroviaria. Questo fu uno dei luoghi ove, a partire dal 1940, venne perpetrato il programma di eutanasia nazista che provocò la soppressione di decine di migliaia di persone catalogate tra le “vite indegne di essere vissute”.
Quando arrivò Giovanni, il programma di eutanasia non era più in atto, essendo sospeso dal settembre 1941; in quel periodo, infatti, il castello dell’orrore era invece utilizzato per l’eliminazione dei prigionieri provenienti dagli altri campi dichiarati inadatti al lavoro o anche solo perché malati.
Vennero assassinate circa 30.000 persone tra cui moltissimi italiani.
Giovanni Sibona fu, purtroppo, tra quelli avendo trovato la morte il 30 settembre 1944 per stenti e denutrizione.
Il 25 gennaio 2019 alla storia e alla memoria di Giovanni, è stata conferita la Medaglia d’Onore durante la cerimonia ufficiale presso la Prefettura di Torino , allora come oggi ad onorarne la memoria le due nipoti.
Dice Gunter Demning parlando delle Pietre d’Inciampo: “Quando tu la vedi per terra, per guardarla devi chinare il capo ed è come un segno di rispetto per la persona che deve essere ricordata”, in via Altina 20 il rispetto e la memoria da oggi e per sempre sono per la vita strappata del vinovese Giovanni Sibona.
Massimiliano Brunetto