DIRITTO E CASTIGO GIUGNO – Disdetta e recesso, quanta confusione
Disdetta e recesso, quanta confusione
RUBRICA LEGALE GIUGNO 2022
I termini di recesso e quello di disdetta vengono utilizzati come sinonimi tanto nel linguaggio parlato, quanto in quello scritto. Se è del tutto comprensibile la promiscuità dei due vocaboli nell’uso quotidiano, nel momento in cui questi vengono trasfusi in una comunicazione formale, è bene tenere a mente il loro reale significato e la portata degli effetti.
Premessa doverosa è che questo breve intervento avrà ad oggetto la disciplina codicistica. A questa si affianca quella prevista dal Codice del Consumo (introdotto con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206) a tutela del consumatore.
Possiamo sintetizzarne le peculiarità delle due fattispecie evidenziando come la disdetta impedisca il rinnovo di un contratto di durata alla sua naturale scadenza, mentre il recesso sciolga anticipatamente il vincolo contrattuale.
I termini e le modalità della disdetta sono indicati dalla legge e/o da specifiche clausole del contratto stabilite dalle parti, a cui occorre prestare attenzione. Soprattutto, bisogna verificare il preavviso richiesto per poter procedere a una valida disdetta e, pur non essendo previste formalità particolari (eccetto i casi in cui vengono predisposti appositi moduli per esercitarla), è bene che sia scritta ed inviata mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno oppure con raccomandata firmata a mano o tramite posta elettronica certificata (PEC), se mittente e destinatario ne sono forniti. Il motivo è semplice: la disdetta produce i suoi effetti nel momento in cui il destinatario la riceve ed è colui che la invia che deve essere in grado, all’occorrenza, di offrire la prova di quando ciò sia avvenuto.
Diversamente dalla disdetta, il recesso si configura come il diritto di una delle parti di sciogliere anticipatamente un contratto in corso. Occorre da subito precisare che non sempre il recesso può essere esercitato. Sarebbe contrario ai principi di lealtà e di buona fede recedere unilateralmente da un contratto per mero capriccio, decidendo di liberarsi dagli obblighi assunti in precedenza. Nella maggior parte dei casi questa condotta andrebbe a configurare un inadempimento contrattuale con la possibilità di essere citati in giudizio per il risarcimento dei danni subiti dalla controparte.
Il nostro ordinamento tutela il legittimo affidamento dei contraenti, i quali confidano nel rispetto e nell’efficacia del vincolo contrattuale in corso. Questo orientamento si concretizza nel principio espresso dall’art. 1372 cod. civ, per cui “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge” (art. 1372 cod. civ.).
Per sciogliere un vincolo contrattuale, dunque, o le parti si accordano o devono essere presenti “cause ammesse dalla legge”; in altri termini, il recesso può essere convenzionale o legale.
Il recesso convenzionale si ha quando i contraenti prevedono nella scrittura privata una clausola ad hoc, oppure la parte destinataria del recesso vi acconsente ritenendolo sorretto da un giustificato motivo. Attenzione, però. L’art. 1373 cod. civ. ammette la facoltà di esercitare il recesso unilaterale convenzionale avvalendosi della clausola contrattuale “[…] finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”, e, nel caso di contratti ad esecuzione periodica o continuata, esso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.
In linea con il principio della libertà negoziale, sono ammessi eventuali patti contrari e i contraenti possono anche prevedere, come corrispettivo della facoltà di recesso, che al momento della stipula del contratto una di esse consegni all’altra una somma di denaro (caparra penitenziale, art. 1386 cod. civ.). Del pari, può essere concordato l’istituto della multa penitenziale: uno dei contraenti promette che, in caso di recesso, darà all’altro una determinata somma.
Per quanto riguarda il recesso legale, tra le “cause ammesse dalla legge” sono comprese, a titolo esemplificativo: il termine essenziale, la condizione risolutiva, le invalidità, la risoluzione e la rescissione del contratto.
In alcuni casi non solo viene riconosciuta la facoltà di recedere da un contratto, ma anche che questa possa essere esercitata in qualunque momento a discrezione del contraente. Si tratta del così detto “recesso ad nutum”, limitato ai contratti di durata indeterminata, in cui non è stato previsto un termine finale. Di norma la legge impone un congruo termine di preavviso rispetto alla data di effettiva interruzione del contratto.
Vi è poi il “recesso legale straordinario”, quando le norme di legge attribuiscono ad uno o entrambi i contraenti il diritto di recedere per giusta causa o giustificato motivo (ad esempio il recesso del comodante dal comodato a termine o il recesso anticipato nei contratti di locazione…).
Considerato che il recesso è un atto unilaterale che produce i propri effetti nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario, valgono le considerazioni espresse poco sopra per la disdetta.
Ricordo che nei contratti che coinvolgono un professionista ed un consumatore, il recesso è utilizzabile in diverse ipotesi, essendo considerato uno degli strumenti principali diretti a ripristinare l’asimmetria di potere contrattuale esistente tra le parti contraenti.
DIRITTO E CASTIGO GIUGNO 2022 – Disdetta e recesso, quanta confusione
DIRITTO E CASTIGO
Rubrica legale a cura dell’avvocato Roberta K. Colosso, patrocinante in Cassazione
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