Il voto a 16 anni – I NOSTRI LETTORI CI SCRIVONO
Riceviamo e pubblichiamo.
Il voto a 16 anni
Il PD, a fronte di profonde divergenze interne (cosi ho capito sentendo Zingaretti quando si è dimesso), cambia segretario ma non linea politica e, dopo aver momentaneamente accantonato (per mancanza di numeri in parlamento) lo jus soli ed il voto a 16 anni, riprende i temi.
Qui non parlerò dello jus soli ma solo del voto a 16 anni e delle sue implicazioni.
Quei pochi ricordi di studi lontani mi fanno dire che mentre la capacità giuridica (la capacità di essere titolare di diritti) si acquisisce alla nascita, la capacità di agire (ossia la capacità di disporre dei diritti) si acquisisce con la maggiore età.
Se ricordo bene la riforma del diritto di famiglia (voluta prevalentemente dalla sinistra) entrata in vigore nel 1975 ha portato la maggiore età da 21 a 18 anni ed è coincisa con il voto a 18 anni.
Infatti sarebbe una contraddizione in termine dare il voto a dei minorenni in quanto il voto è forse la massima espressione della capacità di agire, cioè di autodeterminarsi e disporre, ciò perché contribuendo a formare il corpo politico legiferante si costituisce l’organo che regolamenta la vita delle persone.
Quindi dare il voto ai sedicenni comporterebbe necessariamente portare la maggiore età a 16 anni con implicazioni enormi, ad esempio:
– si potrebbe testare;
– porre in essere qualsiasi atto di disposizione patrimoniale;
– amministrare una società di capitali;
– se il sedicenne commettesse un reato non sarebbe più giudicato dal Tribunale dei Minorenni ma dal Tribunale Ordinario e perderebbe un sacco di benefici di cui oggi gode (cosa direbbero i buonisti).
Temo che la sinistra nel 1975, con il voto ai diciottenni, cercasse di dare la spallata decisiva e diventare maggioranza effettiva, senza bisogno del “compromesso storico” con la DC ,e che ora, con il voto ai sedicenni, cerchi di evitare di estinguersi.
A me pare che la sinistra abbia perso il contatto con quello che un tempo erano le masse proletarie e sia diventata un club di radical chic molto snob, composto da signori, attempati e molto ben piazzati nei centri nevralgici del potere, anche economico, che, pur ritenendosi “intellettuali progressisti”, nulla hanno in comune con quello che dovrebbe essere il loro elettorato di riferimento, ormai guardato dall’alto verso il basso e, forse, ritenendolo composto da ignoranti non al loro livello, anche disprezzato.
Quindi per cercare di recuperare qualche voto vogliono tentare di “circuire” i ragazzi senza pensare o, peggio, infischiandosene delle conseguenze pratiche.
Lettera firmata