“Agopezza” ovvero il filo della memoria – Un racconto di Vera Durazzo
“Agopezza” ovvero il filo della memoria
(… come ‘l vecchio sartor fa ne la cruna, Dante, Inferno, Canto XV)
Un racconto di Vera Durazzo
In questi giorni di “residenza coatta” o di “fiesta immobile” per dirla alla Baricco, la principale àncora di salvezza, il corrimano, come ha scritto la poetessa polacca Szymborska, è l’ascolto di romanzi letti ad alta voce, in parallelo “Pastorale americana” di Roth e “Camera con vista” di Foster.
Un mattino, però, frugando in un angolo del cucito e del ricamo – ve ne sono tanti nei due piani di casa mia – mi sono imbattuta in un pezzo di seta, rettangolare a fiori su sfondo nero.Scartata una prima idea di sostituire una decorazione sulla scollatura di una maglia, ho deciso di cucirla, a doppio strato, per ricavarne una sciarpetta. Utilizzabile,in caso di necessità come mascherina. E’ comincia così la grande avventura: infilare, più volte, una gugliata di filo nero nella cruna.
L’amore per ago e filo ha radici lontane, nato di certo prima di quello per la lettura. Mia madre mi raccontava che fin dai primi anni di vita chiedevo “agopezza”. Probabilmente mi avevano affascinata, nei paesi del sud, le ragazze intente a cucire e a ricamare sull’uscio di casa. Quando mi regalarono le bambole, prima in celluloide poi in gomma, abbracciai in pieno la vocazione sartoriale cucendo dei piccoli abiti. Erano indispensabili i ritagli avanzati dalle sarte di cui era assidua cliente mia madre. Alla mia poupée dai capelli turchini non facevo mancare nulla: gonne a campana, pantaloncini, maglie lavorate ai ferri, persino un cappotto in tinta malva con un collo di pelliccia. Per l’Epifania arrivò persino una macchina per cucire rossa con la manovella. Mi documentavo sulla moda leggendo “Annabella”, “Oggi” e riviste femminili, su cui leggevo anche i romanzi a puntate della Gasperini o di Scerbanenco o di Guareschi.
La tecnica sartoriale mi tornò utile molti anni dopo, quando mia nipote perse il vestitino della Barbie: ne creai uno con del raso rosso e bottoncini, scovati nella scatola della nonna. Durante la confezione su misura due occhi di bambina, attenti e impazienti, mi controllavano e mi pungolavano. A opera compiuta, la soddisfazione di tutta la famiglia fu grande e a me sembrò di aver realizzato un capo di Valentino.
Mi tornò utile quando mi iscrissi al corso di ricamo Bandera, quando la mia cara amica, insegnante di arte, mi fece conoscere il cucito e l’uncinetto creativi. Frammenti di pizzo, bottoni di madreperla, mastri di velluto, rianimati dalla fantasia, potevano acquisire dignità artistica.
Mi potrebbe tornare utile ora, per confezionare una mascherina. Ho ricercato in cassetti, cestini, borse,scatole di latta l’occorrente: tela, elastico, filo, il centimetro da sarta. Ho tutto ma quanto è difficile infilare il filo nella cruna.
Vera Durazzo
L’AUTRICE. Appassionata di scrittura creativa, Vera Durazzo ha conseguito numerosi riconoscimenti. La raccolta di racconti “Street Artist” (Edizioni Esordienti E-book, 2017) le è valsa una segnalazione di merito al Premio Internazionale di Poesia e Narrativa “Cinque Terre – Golfo dei Poeti” 2018 XXX edizione: la giuria, dopo aver valutato le numerose opere di alto valore stilistico e contenutistico proposte in concorso, ha deciso di attribuirle il riconoscimento per la sezione libro inedito di narrativa. L’ultima opera pubblicata è “Viole in un bicchiere”, raccolta di poesie (EEE-Edizioni Esordienti E-book, prima edizione cartacea 2019; www.edizioniesordienti.com).
Vera Durazzo è nata ad Acerenza (Potenza) ma la sua famiglia è originaria di San Marco di Castellabate. Si è laureata a Torino in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea con i docenti Giorgio Barberi Squarotti e Folco Portinari e ha esercitato la professione di insegnante alla Scuola Media. Ha frequentato, per molti anni, i seminari della scuola Holden. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Rana d’Oro, riconoscimento per l’impegno in ambito culturale conferitole dal Comune di Villastellone.