Star alle sfilate, re in tavola: il bue grasso si doma a San Paolo Solbrito
Il carro non si mette davanti ai buoi, lo sanno bene Beppe, Christian e Giorgio dell’azienda Cati Gavello che da San Paolo Solbrito (Asti) i buoi li portano alle più importanti fiere piemontesi come quellae di Carrù e Nizza Monferrato e li attaccano al giogo per tirare i carri di sfilate storiche e palii come quelle di Legnano e di Asti.
L’azienda, però, è prima di tutto una famiglia che si trasmette la capacità, ma potrebbe essere un’arte, di educare o, se volete, di “domare” i buoi. Non di padre in figlio ma da zio a nipote e da nonno a nipote. Il capostipite è infatti Beppe Davanzo che nel Duemila ha deciso di tornare ad una vecchia tradizione, l’allevamento di un bue grasso ancora più speciale perché “domato”. A lui si è ben presto aggiunto Christian Gozzellino che, con un padre che faceva tutt’altro, ha, da quando aveva tre anni, cominciato a muoversi tra i buoi per poi scegliere di diventarne allevatore e addestratore con lo zio. Ultimo per questioni di età è Giorgio, che ha seguito il nonno Beppe ed il cugino Christian.
Questo tro di tre generazioni alleva il bue in modo molto particolare. Il bue grasso, che è il re del bollito, è un bovino adulto castrato di razza piemontese di almeno quattro anni di età, allevato ed ingrassato, da fine estate fino ai primi di dicembre (il mese sostanzialmente a lui dedicato sia nelle fiere che sulla tavola), con una alimentazione specifica per dare alla carne quella caratteristica che la distingue persapore, consistenza e tenerezza.
I loro buoi non vengono però allevati per il bollito ma per le fiere nelle quali fanno sempre man bassa di premi per bellezza, prestanza e possenza (un bue di razza piemontese pesa oltre i dieci quintali) e per tirare i carri. Sono queste le loro attività e proprio per questo vengono definiti “domati”. Sono infatti, abituati, piano piano, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, al contatto frequente con l’uomo, ad uscire tra la gente, abituati al giogo, a lavorare come facevano una volta i loro antenati. Solo a fine carriera, una lunga e prestigiosa carriera (alla Cati Gavello ci sono buoi anche di quindici, sedici anni) di premi, fiere e sfilate diventano, ancora una volta, vincitori ma in modo assai diverso, imponendosi sulle tavole come re del bollito piemontese e trionfando nei pranzi natalizi.
In una uggiosa domenica di fine ottobre Christian, erede designato dell’esperto e comunque sempre presente Beppe, ci mostra insieme allo zio e al cugino con giusto orgoglio i buoi che lo hanno reso famoso, poco più che trentenne, come addestratore. Che ami i buoi si vede subito e che ne vada giustamente fiero è comprensibile. Si muove tra loro nella stalla, tra bestioni che vanno da dieci a quattordici quintali e alti come e più di lui, con naturalezza e gioia. Li conosce tutti per nome e li chiama uno per uno ma soprattutto, insieme a Giorgio, parla con loro: “Dai Bertu smettila”, “Jackie non fare casino che Ugo si innervosisce”, “Ragazzi, cosa è tutta sta agitazione”.
E’ tranquillo ma anche fermo perché gestire un bue non è cosa semplice. No, non è affatto semplice. Christian così come Beppe e Giorgio ci riescono. Lo sanno bene gli organizzatori di molti eventi che continuano a chiamarli e volerli alle manifestazioni. Perché i loro buoi sono belli, maestosi e forti ma anche perché sanno muoversi tra la gente, con il giogo al collo, tirando un carro, non si innervosiscono troppo (un po’ sì, però) per l’urlo improvviso di un bambino, i suoni della folla, il caos. Certo ci vuole sempre la mano salda dell’addestratore per indirizzarlo o calmarlo ma senza il rapporto quotidiano e lo strettto legame instaurato negli anni, con ogni singolo animale, sarebbe impossibile.
Christian e Beppe non nascondono l’importanza di questo legame con Berto, Jacki, Ugo e tutti i loro compagni, e confessano di provare una stretta al cuore quando giunge il momento per uno di loro di lasciare la stalla per l’ultimo spettacolo da star, non più in una fiera od in un palio. “Quando vengono a prenderlo noi non ci siamo mai, è un vero dolore – ammettono – Non vogliamo vederlo uscire dal cancello, ci commuove troppo”.
Uomini rari, sono infatti pochissimi in Piemonte ed in Italia ad allevare ed addomesticare i buoi perché, non essendo più utilizzati nei campi come forza motrice, sono diventati solo animali da alimentazione ed anche il più noto, il bue grasso che ha nella fiera di Carrù la sua massima manifestazione è semplicemnte un bue grasso. Alla Cati Gavello invece continuano, anzi hanno ripreso, ad allevarli come se dovessero lavorare la terra ed a volte lo fanno veramente diventando così un’eccellenza nell’eccellenza.
Poi, anche per loro, nutriti nel modo più genuino e naturale, arriva la fine carriera, non diversa da quella che fanno i loro compagni allevati con il solo scopo alimentare ma pur sempre gloriosa come bocconi pregiati e indispensabili del bollito piemontese. Ma i domati, va detto, superano in qualità i semplici grassi perché, oltre ad essere meno giovani, hanno svolto un’attività nel corso della loro vita che rende la loro carne ancora migliore e saporita. Carne da veri intenditori e non per tutti.
Pochi ad allevarli, pochi ad addestrarli e pochi ad avere la loro carne sui banchi della macelleria. A Torino e provincia sembra che solo due macellerie possano vantare di avere il bue grasso domato: una nel capoluogo, la Macelleria Bosco in via Po 39, e l’altra a Carignano, la Macelleria Bonella in piazza Carlo Alberto 28.
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